Il Baroncino

Il Baroncino

Tommaso Cipollone,

l’ultimo barbiere di Corso Manthonè,

ha chiuso l’attività nel 2001 ma ancora conserva nella mente, come in uno scrigno,

vicende e costumi di un epoca da noi non tanto lontana.

Fra realtà e sogno

Capelli impomatati, tirati all’indietro senza scriminatura , baffetti sottili, camice lindo, una naturale eleganza nelle relazioni con gli avventori, Tommasino, com’era abitudine chiamarlo, si distingueva per l’accuratezza della  figura e si esprimeva, dove il caso lo richiedeva, in perfetto italiano.

Curava con attenzione e riserbo i rapporti con importanti personaggi della città.

A ragione dunque cominciarono a denominarlo il “baroncino”.

La sua memoria è stupefacente; egli ricorda con esattezza date e episodi della sua lunga vita, ma nel fluire dei pensieri s’infervora ed incrocia talvolta situazioni osmotiche  sicuramente vissute e donate a lui dal genitore Francesco.

Avverte ancora nell’aria e nelle pietre del corso antico la presenza dannunziana. A tratti ne è rapito, te ne accorgi quando all’improviso inserisce fra i ricordi qualche poesia del Poeta  concittadino. Data la sua età, mai avrebbe potuto incrociarlo; eppure fa apparire tutto vero, incontestabile, tutto accaduto davanti ai suoi occhi.

Nell’incanto dei suoi racconti dunque non c’è confine fra il suo  vissuto e quello del padre, quasi non voglia tralasciare alcun aspetto storico dell’ultrasecolare suo esercizio di barbiere.

Se così non fosse, non riuscirebbe forse mai  a ricreare con arte l’intero fascino di un’epoca ormai scomparsa.

Nell’orgoglio della sua pescaresità cita Ennio Flaiano, che spesso, “senza mai darsi delle arie”, si fermava a conversare con lui , e colora il racconto sciorinando eventi  a lui riferiti intorno alla sua nascita.

Ad uno ad uno salgono poi nella giostra dei suoi ricordi, conditi  in vicende quotidiane fatte di burle, scherzi e pettegolezzi Tommolini, Spizzico, Quaranta, Cannella, Salvatore, Cirucce Mastrangelo, Sorrentino, Pierino Muzzone, Turuccio.

Gli specchi della sua barberia lo hanno sempre aiutato a riflettere e a sognare.

Tommaso Cipollone trae dai suoi specchi, come da un cilindro, le storie, le trame, le verità e gli inganni cui questi simbolici oggetti di arredo sono stati testimoni nel secolo scorso. Specchi che impersonano i consueti frequentatori del salone, solitamente abituati a  generare commenti, giudizi, critiche e pettegolezzi.

Tommaso riporge i fatti in maniera sapiente, nella loro tipica intierezza, depurandoli da ogni senso di drammaticità, quasi accorpandoli in una tessitura di commedia cittadina con il compito di  interessare, incuriosire, divertire, e dalla quale  saper trarre materia identitaria e stimoli di conoscenza.

Non sempre è possibile cogliere nel fluire dei racconti di Tommaso il confine fra sogno e realtà.

I racconti del padre Francesco al figlio bambino, dovettero essere talmente convincenti da translare la convinzione in Tommaso di essere stato in qualche modo partecipe,  al di la della realtà, a momenti di quotidianità di casa D’Annunzio.

Tommaso ci cattura con i suoi racconti d’epoca

Ecco come tratteggia la via che lo ha visto protagonista:

“I ritmi di lavoro del salone erano  abbastanza sostenuti e perciò era diventato abituale fare la pausa pranzo in bottega.

Si rimaneva aperti fino alle 17 con la possibilità di procrastinare la chiusura anche di un’ora.

Immancabilmente, alla fine di ogni giornata lavorativa, cominciava, lungo  corso Manthonè, lo struscio serale.

Un passeggio continuo di gente, ben vestita, con le scarpe tirate a lucido, colorava la strada, trasmettendo un senso di spensieratezza e di liberazione dalle incombenze giornaliere; fra sguardi rivolti qua e là alle vetrine eleganti si originava un vociare  perdurante e continuo, misto a suoni di pianini, che ti conduceva, come in un vortice e quasi inconsapevolmente, nella piazza Garibaldi.

I personaggi alla moda erano tutti là ad aspettarti come in una doverosa sfilata, tutti davanti ai bar e soprattutto nei pressi del Circolo Aternino.

I signori  pavoneggiavano  nei loro abiti di gran lusso; la loro, eleganza talvolta appariva tirata allo stremo; monocolo e bastoni impreziositi da pomi d’oro e d’argento diventavano accessori d’obbligo.

Pure le signore dell’alta società godevano nel percepire lo stupore del pubblico di fronte alle loro complicate ed eleganti tolette.

Non mancavano passaggi di carrozze, con stemma del casato al centro degli sportelli e cavalli col pennacchio in testa.

E nei fine settimana c’era pure la banda.”


Tommasino Cipollone, il barbiere “Baroncino”

insignito dell’onorificenza del cavalierato da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi( 2001)

La bottega

Chi ha avuto la possibilità di vivere il clima di una barberia nella prima metà del  novecento forse è in grado di ricordare gli ambienti di questi locali, estremamente curati nell’eleganza e nelle luci.

Un sapiente gioco di specchi  e comode poltrone rendevano l’impressione di trovarsi in un lussuoso salotto tirato a lucido, tra profumi di lavanda o di spezie.

Uno sfavillio di luci elettriche, ampliato dalle specchiere delle pareti, rendeva maggiormente attraente tali locali rispetto agli altri esercizi.

I clienti il più delle volte entravano non tanto per farsi belli ma anche per trovare compagnia, per chiacchierare e fare pettegolezzi.

Non difettavano, negli intervalli di lavoro, esibizioni musicali improvvisate con chitarra e mandolino.

Ci si scaldava d’inverno con contenitori riempiti  di brace di carbonella.

La storia

Il salone di barba e capelli di  Francesco Cipollone nasce nel cuore della Pescara vecchia il 1.1.1898 in un locale posto sotto l’abitazione di D’Annunzio.

Lo   ritroviamo, sempre ubicato  lungo il corso, ma nel palazzo di proprietà di Marrone Augusto, il primo maccheronaro di Pescara, qualche anno più tardi.

E lì che l’infante Tommasino entra e vede per la prima volta la bottega del padre.

Le frequentazioni diventano poi più assidue, e, sul finire del ciclo dell’istruzione elementare, il salone finisce per essere sua meta d’obbligo tutte le domeniche per la necessaria  pulizia di spazzole e pettini.

E’ il 26 ottobre  del 1930  quando Tommaso Cipollone inizia a svolgere,  in forma quotidiana ed in qualità di apprendista, il mestiere di figaro.

Il Salone  di Francesco Cipollone, barbiere di casa D’Annunzio, sede di incontri e pettegolezzi, si era ormai spostato definitivamente nel locale all’angolo fra le civiche via  Corfinio e Corso Manthonè.

Rimane lì immutato nell’arredamento per ben 71 anni e due mesi, fino al 20 dicembre 2001.