FEDERICO CAFFE’

“Persona generosa, di estrema disponibilità al dialogo, animato da un forte anelito sociale, spendeva se stesso senza limiti, salvo ritrarsi con freddezza se avvertiva nell’interlocutore insincerità di accento”.                                                                                                              Carlo Azeglio Ciampi

Federico Caffè, una politica originale

 

Pur dimenticato dall’Abruzzo, il metalmeccanico dell’Università”La Sapienza” non ha mai dimenticato l’Abruzzo.

Vinicio Federico Caffè, intellettuale riformista d’Abruzzo, nasce a Pescara il 6-1-1914 e scompare a Roma nella notte fra il 14 ed il 15 aprile 1987.

Il suo pensiero si cala oggi come presagio incredibile in una fase economica influenzata da disastrosi effetti dovuti alla globalizzazione. …..

”In economia non ci sono solo dottrine o teoremi rigidi da rispettare. Occorre sempre agire entro coordinate culturali ed etiche che in qualche modo riescono a controllare le tentazioni per un ritorno puro e semplice a forme di neoliberismo selvaggio.

Nelle scelte economiche da adottare non si deve prescindere dai valori sottostanti per la salvaguardia dello stato sociale.

In questo l’economista non potrà essere mai neutrale e non ricordare che “non c’è violenza senza sofferenza.

” Occorre elaborare strategie di riforme per conciliare libertà di mercato con umane forme di solidarietà, poichè il rigore, alla base dei suggerimenti di politica economica, è comunque coniugabile con l’attenzione ai bisogni della popolazione.

A lungo andare si dimostra sempre che non c’è conflitto fra l’economico ed il sociale; al centro dello sviluppo economico devono esserci l’uomo ed I suoi bisogni, in una visione congiunta del momento produttivo e distributivo della ricchezza.”

La sua lezione diventa così “una grande scommessa culturale del tempo” dove si evidenzia il principio che “la disoccupazione” è un malanno dell’economia da curare a qualsiasi costo.

Federico Ceffè ed Ennio Flaiano in un ricordo pescarese

Si incontrarono “Da Cesaretto”, pur essendo il professore molto poco mondano.

La discussione per l’intera serata fu monotematica, comunque animata, e finì col lasciare senza risposta l’argomento di stampo campanilistico di moda a quei tempi: “…………era meglio Castellammare o Porta Nuova?”

……“il luogo della cultura era Castellammare?”

…..“Porta Nuova era solo luogo di commercio?”

Una simbolica differenza tra un “Pescarese” di Porta Nuova ed un “Pescarese” di Castellammare finì per essere la scarnita conclusione dell’acceso dibattito: ognuno viveva in maniera diversa la nostalgia dei luoghi della formazione.

La loro personale maniera di trascorrere le vacanze nella città natale era divenuta una cartina di tornasole e giustificazione per aggiungere linfa alle reciproche argomentazioni.

Flaiano, il pescarese di Porta Nuova, viveva male il ritorno a Pescara, forse perchè la trovava troppo diversa e non conservava più la poesia dell’antico vissuto, se non nella memoria.

Caffè, il pescarese di Castellammare, amava invece ritornare a Pescara perchè in fondo la trovava più moderna.

La “querelle” tra I due ribadiva, sostanzialmente e nelle fondamenta, l’importanza della ricchezza culturale ed umana con le quali si vivono le cose, si ricordano le cose e ci si impegna nella vita di tutti I giorni.

“Cosa e come” ognuno di noi privilegia nel ricordo, nella memoria, nell’analisi scientifica, nell’analisi culturale costituiscono solo temporanei dettagli.

“ Da una memoria del Professore Luciano Russi, pescarese di via Bastioni e socio fondatore del nuovo Circolo Aternino.”

“Il pieno impiego non è solo un mezzo per accrescere la produzione e intensificare l’espansione. Esso rappresenta un traguardo inalienabile, poichè porta al superamento dell’atteggiamento servile di chi stenta a trovare un lavoro o nutre il timore di perderlo” (Caffè)

La piena occupazione era dunque il punto cruciale della teoria di Caffè. La sua diffidenza verso I sacerdoti del “Dio mercato” trova oggi, a distanza di lustri, riprova negli attuali tassi di disoccupazione. I cardini del suo pensiero “Mercato e liberismo” partono da disuguaglianze sociali e dunque non garantiscono quella società umana cui gli economisti dovrebbero aspirare. Il “mercato” non ha virtù taumaturgiche; lasciato a sè stesso genera ingiustizie; occorre intervenire per correggerlo.

Gli schemi delle teorie economiche non devono apparire come rigide regole. La scienza progredisce per vie sempre nuove ed è illusorio che si possa riaprire una vecchia strada o che su di essa si possa fare molto cammino.

Il rigore alla base dei suggerimenti di politica economica è coniugabile con l’attenzione ai bisogni della popolazione.

Approfondire diversi modelli nella ricerca di soluzioni alla teoria del liberismo sfrenato è doveroso. Lo stato deve essere garante del benessere sociale.

Oggi Caffè avrebbe trasmesso tutto il suo sdegno all’idea che un’intera generazione di giovani debba considerarsi nata in anni sbagliati e debba subire, come fatto ineluttabile, il suo stato di precarietà occupazionale. In questa fase dominata dai processi di globalizzazione, l’economia moderna si è mostrata purtroppo incapace di sviluppare le necessarie istituzioni politiche e sociali, sul piano interno come su quello internazionale, per rendere compatibile un’impiego, sufficientemente pieno e durevole, con il capitalismo. Essa ha mostrato, inoltre, tutti I suoi limiti nel pervenire a quel tanto di socialismo realizzabile nel contesto del capitalismo conflittuale e con il quale è tuttora necessario convivere.

“Il capitalismo storico è diverso da quello ideale, rivela Caffè, ed è quindi legittimo, nel valutare le inefficienze del suo funzionamento, porsi il problema del superamento di quelle prodotte sia dal mercato e dal non-mercato così come del loro grado di tollerabilità.” Le esperienze fatte in molti Paesi, dal New Deal di Rooswvelt al capitalismo paternalistico giapponese ed alle economie miste europee, offrono già un’indicazione convincente su come il solco tra capitalismo ideale e capitalismo reale sia molto ampio e possa essere continuamente ritracciato con provvedimenti di varia natura. C’è solo bisogno di quella “audacia intellettuale”per attivare le potenzialità realizzabili nella consapevolezza che l’esistenza di ostacoli non giustifica “l’inazione” La consapevolezza consolidata della disponibilità di molti fiori nel giardino dell’economista portava Caffè a rispondere talvolta con insofferenza e amarezza ai sostenitori delle verità indiscusse dei neo-liberisti. Le idee cattive, mescolate o meno con interessi, che dalla loro applicazione possono trarre vantaggio, si presentano con un’apparente immagine di modernità. Non bisogna essere sovversivi per rivendicare il profumo, ancora apprezzabile, dei tanti fiori che sono stati sparsi nella storia del pensiero economico, per dare sostegno culturale all’intervento correttivo dello stato rispetto “ai fallimenti del mercato”. Nel mondo si muovono uomini, animati da idee e interessi, questi ultimi corposi e invadenti. Caffè ricorda che sono le idee a prevalere sugli interessi costituiti, ma le stesse idee risultano talvolta pericolose, sia in bene che in male.

Federico Caffè, una politica originale

Laureato con lode in Scienze economiche e Commerciali nel 1936 presso università di Roma. Inizia come assistente volontario, poi appare come libero docente ed infine diventa professore ordinario di Politica economica e finanziaria a Messina, a Bologna ed infine a Roma (1959) Primo direttore del Dipartimento di Economia Pubblica Consulente del Governatore della Banca d’Italia ( Baffi-Carli-Ciampi) a tutto il 1969 Autore di oltre 200 pubblicazioni Le sue lezioni vengono tenute presso le facoltà di economia di illustre università del mondo.

Sulla tomba vi è la sintesi del suo vissuto:

“ricordati o Signore del Tuo figlio Federico, di cui solo Tu hai conosciuto la Fede e la dedizione”

 

Testi ed idee sono tratti dal libro “Federico Caffè” N.Mattoscio e S.Profico – ed.Tracce-Pescara