Pierino Mozzone

Pierino Mozzone

I PIANINI di TOMMASO GRIMALDI  dal preziosissimi libro di Tullio Bosco

La diffusione popolare della musica negli anni 20 era assicurata anzitutto dalle bande musicali che fiorivano e prosperavano in tutti i grandi e piccoli centri e portavano ovunque aria di festa con le loro musiche classiche. Il loro repertorio era infatti costituito da opere, operette, marce militari e marcette popolari; non mancavano delle canzoni, limitate a quelle più famose.
Di gran lunga più modesti, ma ben aggiornati erano i pianini ambulanti, viaggianti su carrettini a due ruote, talvolta trainati da un asinello, che diffondevano le ultime novità in fatto di canzonette; erano sempre al passo con le case editrici, e si spostavano giornalmente e senza sosta per tutti i centri abitati e nelle campagne.
A Pescara il re dei pianini era Tommaso Grimaldi, un rubicondo napoletano, con un bel paio di baffoni bianchi appuntiti all’estremità che ripiegavano verso l’alto, sempre pronto al sorriso ed elegantemente vestito. Possedeva non meno di 5 pianini che pernottavano in un magazzino di Via della Ferrovia  e che, durante il giorno, venivano affidati a degli operatori di quartiere.
Il pianino, montato sul solito carrettino a due ruote, fornito di apposito alloggiamento, aveva un appoggio a terra per bloccarlo nella posizione orizzontale durante il servizio. E Pierino svolgeva il suo lavoro con grande serietà, sapendo di manovrare uno strumento che tutti ammiravano.Non che fosse molto originale, infatti non era molto dissimile da un normale pianoforte verticale, ma era privo di tastiera perché la musica veniva prodotta da u cilindro di legno deuro, posto all’interno, costellato di punti metallici sporgenti simili a chiodini, ognuo dei quali azionava, durante la rotazione, una levetta che a suo tempo muoveva un martelletto che batteva sulle corde armoniche.
Tali martelletti erano probabilmente di legno, anziché di feltro, onde ottenere una maggiore sonorità anche se a discapito della morbidezza dei suoni, tipica dei pianoforti.
Il cilindro, che era il cuore dello strumento, andava manipolato con la cura più estrema,  perché un leggero spostamento di uno di quei chiodini avrebbe provocato una, non ammissibile, sicura stonatura.
Essi comprendeva 6 suonate, ed era costosissimo, si che il Grimaldi doveva compiere un notevole  sforzo economico ogni volta che si recava a Napoli per acquistare i nuovi cilindri di aggiornamento con le ultime novità delle case editrici.
PIERINO MOZZONE
Il centro della città era istituzionalmente affidato a Pierino Muzzone.
A prima vista costui poteva sembrare un marinaio mercantile, e forse lo era stato.
Indossava un maglione a righe orizzontali ed aveva i capo un berretto nero con la visiera rigida.
Il suo viso, in  verità non destava simpatia perché non era mai atteggiato al sorriso, e se cercava di ingraziarsi il suo pubblico ricorreva ad un sorriso stereotipato, raggrizzando la pelle del viso e ottenendo una vera e propria smorfia (alla Eduardo De Filippo).
Egli era però il più metodico.
Aveva i suoi itinerari precisi ed i suoi orari, tanto da essere quasi considerato un pubblico servizio, essendo atteso, all’orario del suo passaggio, alla finestra di tutte le case.
La sua zona di lavoro gli era piuttosto favorevole, sì che poteva contare su un incasso giornaliero abbastanza consistente, sia per le offerte volontarie, come per la vendita dei foglietti contenenti le parole di tutte le canzoni in voga, che vendeva al prezzo di 10 centesimi.
Pierino Muzzone, conscio della tecnica d’avanguardia rappresentata dal suo strumento, azionava la manovella dandosi l’importanza di un direttore d’orchestra, battendo il tempo con la mano libera e, quasi fiero di sé, guardava compiaciuto le finestre piene di ascoltatrici e di ascoltatori.
Dopo le suonate  che concedeva ad ogni fermata sul marciapiedi davanti ad ogni palazzo, faceva la raccolta delle monetine che piovevano dall’alto, allugando co in mano il berretto  capovolto tenuto per la visiera ed ingeniandosi a saltellare qua e la per prendere al volo i frutti del suo lavoro.
Ma qualcuno, anche intenzionalmente, buttava l’obolo fuori del suo campo d’azione per vederlo correre di più. Egli contava allora mentalmente i suoni delle monete cadute, ed alla fine procedeva al rastrellamento.
Ma stranamente già due o tre volte non aveva potuto ritrovare una moneta d’argento. Che fosse d’argento era sicuro, perché ne riconosceva il suono inconfondibile. Offerenti così generosi erano rari, per cui tale scomparsa lo indisponeva, tanto più che ciòl accadeva sempre allo stesso posto di Via Gabriele D’Annunzio, proprio sotto al palazzo di don Romeo Tommolini.
Ed un giorno stette ben attento. Al momento delle offerte ecco tintinnare a terra la moneta d’argento, alle sua spalle.Si girò di scatto, lasciò cadere il berretto con quanto già raccolto e fece un balzo, allungando entrambe le mani, giusto in tempo per vedere ed afferrare al volo la moneta che, legata ad un filo, stava risalendo verso l’alto.
A fine degli anni cinquanta il pianino cominciava a far sentire i primi segni di decadenza.Anche la manutenzione, con l’avanzare dell’età di Pierino, lasciava a desiderare.
Di tanto in tanto il cilindro chiodato si incagliava a causa dell’avanzato consumo di una grossa vite di legno che trasmetteva il movimento e la ripetizione di una stessa nota vibrava nell’aria monotona in attesa dell’intervento manuale di Muzzone, che sconsolato girava lo sguardo verso il campanile di S.Cetteo, imprecando a bassa voce ma lasciando trasparire tutto il suo disappunto.Tali episodi divennero sempre più frequenti, tra le ilarità della gente.
La costruzione del ponte D’Annunzio coincise con scomparsa del pianino che frequentemente operava nei pressi di piazza Garibaldi.