Luisa D’Annunzio

Luisa D’Annunzio

Sul balcone estremo di destra, guardando la facciata, ho visto talvolta seduta, nei tardi pomeriggi, la madre del poeta: Io ero bambino, mia madre me la indicava. Donna Luisa. Una vecchia dal volto nobile, bianca ed infelice, dicevano, per la lontananza del figlio. Guardava la piazza a quell’ora piena di ragazzi, che si rincorrevanoe, sotto ogni tiglio, una venditrice di latte, col suo bidone e il suo misurino. Venivano ogni sera dalle campagne vicine. Quadretto leopardiano, tanto per cominciare.
Ennio Flaiano

…Proprio di fronte a casa nostra, in Corso Manthonè, c’era la Casa D’Annunzio. A1 primo piano vi abitava Donna Luisa, la madre del poeta, con una delle figlie e la fedele Marietta. Donna Luisa coltivava sui balconi dei minuscoli giardini di rose e di garofani. Tutta Pescara conosceva i garofani garibaldini di Donna Luisa. Nei pomeriggi di primavera e d’estate, dalla mia finestra, la vedevo affacciarsi verso il crepuscolo ed innaffiare i suoi fiori da una giara di vetro, con estrema cura. La incontravo sempre la domenica a messa in S.Cetteo, dove accompagnavo mia madre. Vi si recava con una delle figlie, sempre vestita di scuro con un velo sui capelli. Rassomigliava straordinariamente al figlio Gabriele, lo stesso profilo, la stessa nobiltà dei lineamenti. Quei garofani appesi ai balconcini, le persiane, le mura color ruggine di Casa D’Annunzio mi mettevano addosso una frenesia che mi faceva spremere tubetti di ocre e gialli sulfurei. I mandorli cominciavano a fiorire e l’aria di mare spandeva le prime gemme come fiocchi di neve. Sentivo la primavera sulla punta delle dita: pastelli, acquerelli, tempere, olio, qualsiasi mezzo era buono per cogliere una luce e una sfumatura. La Pescara era come un arcobaleno, variava ad ogni momento; bastava una nuvola per far cangiare tono al mandorlo. bastava un rufolo di vento e il mare si increspava, e le vele se ne andavano a coppie d’oro con una stella cometa in cima. Le Pagine di D’Annunzio erano dei meravigliosi dipinti, una galleria di ritratti e luoghi pescaresi. C’erano le case e nelle case i personaggi, gli stessi che vedevo ed ascoltavo per via; la marina descritta da Gabriele era la mia stessa marina: vele, cordami, cubie, pescatori scalzi, fumate di contrabbando, carico e scarico di mercanzia, donne coi fisciù rossi che attendevano sul molo il ritorno dei capitani, ceste colme di pesci, reti stese al sole. Nei libri di Gabriele c’erano santi miracolosi, c’erano maghi, cerusici e il diavolo dipinto come uno sciancato con gli occhi di brace. C’erano tutte le botteghe colle insegne colorate, il sellaio, il vinaio, il ciabattino e la farmacia con la palla gialla; c’erano tutti gli storpi del Venerdì Santo e la storia delle stagioni con la fioritura e la mietitura. Sentivo gli odori della vendemmia, il mosto a settembre, il miele a dicembre. Bastava solo mettere mano ai pennelli, bastava andare in giro da una piazza a un orto, scegliere un luogo qualsiasi, la pineta o il fiume, la torre o la via del Rosario. La mia vita si svolgeva in questo magico scenario di cose e di personaggi, da terra promessa, personaggi e manifestazioni comuni a tutti i piccoli centri, come mercato e la sua piazza, come la storia e il dialetto che ogni paese ha suoi propri; ma la storia, il mercato, il linguaggio, il calore, il sapore e i suoni di Pescara vivono particolati, insostituibili in mè perchè sono stati lo sfondo della mia infanzia, della mia educazione e formazione, e restano qual particolare unico mondo da mè vissuto, scoperto, posseduto, mai ritrovato altrove”.
(ricordi pescaresi di Michele Cascella)