Pescara Dannunziana

Pescara Dannunziana

MEMORIE DELLA VECCHIA PESCARA

……Proprio di fronte a casa nostra, in Corso Manthonè, c’era la Casa D’Annunzio. A1 primo piano vi abitava Donna Luisa, la madre del poeta, con una delle figlie e la fedele Marietta. Donna Luisa coltivava sui balconi dei minuscoli giardini di rose e di garofani. Tutta Pescara conosceva i garofani garibaldini di Donna Luisa. Nei pomeriggi di primavera e d’estate, dalla mia finestra, la vedevo affacciarsi verso il crepuscolo ed innaffiare i suoi fiori da una giara di vetro, con estrema cura. La incontravo sempre la domenica a messa in S.Cetteo, dove accompagnavo mia madre. Vi si recava con una delle figlie, sempre vestita di scuro con un velo sui capelli. Rassomigliava straordinariamente al figlio Gabriele, lo stesso profilo, la stessa nobiltà dei lineamenti. Quei garofani appesi ai balconcini, le persiane, le mura color ruggine di Casa D’Annunzio mi mettevano addosso una frenesia che mi faceva spremere tubetti di ocre e gialli sulfurei. I mandorli cominciavano a fiorire e l’aria di mare spandeva le prime gemme come fiocchi di neve. Sentivo la primavera sulla punta delle dita: pastelli, acquerelli, tempere, olio, qualsiasi mezzo era buono per cogliere una luce e una sfumatura. La Pescara era come un arcobaleno, variava ad ogni momento; bastava una nuvola per far cangiare tono al mandorlo. bastava un rufolo di vento e il mare si increspava, e le vele se ne andavano a coppie d’oro con una stella cometa in cima. Le Pagine di D’Annunzio erano dei meravigliosi dipinti, una galleria di ritratti e luoghi pescaresi. C’erano le case e nelle case i personaggi, gli stessi che vedevo ed ascoltavo per via; la marina descritta da Gabriele era la mia stessa marina: vele, cordami, cubie, pescatori scalzi, fumate di contrabbando, carico e scarico di mercanzia, donne coi fisciù rossi che attendevano sul molo il ritorno dei capitani, ceste colme di pesci, reti stese al sole. Nei libri di Gabriele c’erano santi miracolosi, c’erano maghi, cerusici e il diavolo dipinto come uno sciancato con gli occhi di brace. C’erano tutte le botteghe colle insegne colorate, il sellaio, il vinaio, il ciabattino e la farmacia con la palla gialla; c’erano tutti gli storpi del Venerdì Santo e la storia delle stagioni con la fioritura e la mietitura. Sentivo gli odori della vendemmia, il mosto a settembre, il miele a dicembre. Bastava solo mettere mano ai pennelli, bastava andare in giro da una piazza a un orto, scegliere un luogo qualsiasi, la pineta o il fiume, la torre o la via del Rosario. La mia vita si svolgeva in questo magico scenario di cose e di personaggi, da terra promessa, personaggi e manifestazioni comuni a tutti i piccoli centri, come mercato e la sua piazza, come la storia e il dialetto che ogni paese ha suoi propri; ma la storia, il mercato, il linguaggio, il calore, il sapore e i suoni di Pescara vivono particolati, insostituibili in mè perchè sono stati lo sfondo della mia infanzia, della mia educazione e formazione, e restano qual particolare unico mondo da mè vissuto, scoperto, posseduto, mai ritrovato altrove”.                                                    (ricordi pescaresi di Michele Cascella)

Pescara, città natale di Gabriele d’Annunzio

“Voglio ancora svelare me a me stesso, voglio dire come l’impronta della mia città natale sia stampata in me, nel meglio di me, fieramente, ricordare ricordare, voglio; e gettare la mia miseria nel gioco mortale”. G.d’Annunzio

A cavallo fra il tardo ottocento e l’inizio della Grande Guerra, d”Annunzio sviluppò la sua esistenza operando in molti luoghi d”Italia, mai  nella “sua” Pescara, ipotecata sostanzialmente come nostalgica terra della propria fanciullezza.

Il Poeta difatti estrapolò e spalmò le atmosfere e le emozioni giovanili, proprie della sua formazione, nei suoi scritti e dette voce alla sua “piccola patria” in un gioco letterario risultato piacevole, ma non sempre veritiero.

Ed il blasone che ha sempre accompagnato il Vate ha fatto da avallo incondizionato a quanto riportato nei suoi testi sul volto antico di Pescara e dei suoi personaggi, facendo mancare   i dovuti stimoli ad una seria ricerca sulla sua reale fisonomia.

In ragione dell’oggettiva assenza fisica dalla città natale, il Vate non potè svolgere direttamente azioni abbastanza incisive atte a direzionare scelte urbanistiche o a determinare  movenze stilistiche tali da caratterizzare l’ambiente urbano della sua città.

Appare dunque improprio parlare di luoghi dannunziani nella cittadina adriatica.

All’epoca in cui il poeta  aveva lasciato definitivamente la città natale, della futura Pescara esisteva solo un embrione di struttura abitativa, priva, fra l’altro, del retaggio dello storico tessuto urbano vantato da altri centri vicini.

“Il Poeta, andando via da Pescara e già sapendo che non vi avrebbe più rimesso piede, scriverà Flaiano, decise che la sua casa fosse rifatta.

Ottenne da Mussolini che il paese dov’era nato divenisse capoluogo di provincia e Pescara prese, unendosi a Castellammare Adriatico così quello sviluppo enorme ch’ora manitiene con le sue industrie, I suoi commerci e col turismo”.

All’indomani dell’unità nazionale, Pescara dunque era un piccolo nucleo urbano, racchiuso all’interno della fortezza cinquecentesca, dal caratteristico impianto stellare, posta a cavallo del fiume, con cinque bastioni sulla sponda destra e due sulla sinistra, unite da un ponte in legno su battelli.

L’abitato, a forma di trapezio allungato sulla riva destra del fiume, era organizzato su tre assi viari convergenti verso l’antico castello: la Strada dei Quartieri, parallela al fiume e su cui si affacciava il bagno penale borbonico, la Strada di Mezzo, continuazione dentro le mura dell’antica strada consolare romana Claudia-Valeria, e la strada di S.Cetteo.

All’estremità occidentale c’era la Chiesa e la Piazza Grande.

Al di là del fiume c’era la cosiddetta Villa Rampigna, occupata solo da due caserme ed una Cappella dedicata alla Madonna del Carmine.

Più che di città si trattava ancora di territorio in cui si potevano innestare molecole edilizie prive di un tessuto connettivo vero e  proprio.

E proprio in questa carenza di substrato storico urbano che tuttavia, almeno fino agli anni della creazione della nuova provincia, la nascente città avrebbe trrovato il modo di vivere la sua stagione dannunziana.

Da D’Annunzio difatti sarebbe arrivata buona parte della promozione e della diffusione del nome e dell’immagine della città nascente.

La città per inventare i propri nuovi luoghi si aggangiò alla cultura del periodo e, nella volontà di costruirsi una sua dimensione ed un suo carattere, sentì l’influsso del Poeta, anche se in forma riflessa, nell’ambito di una cultura che fu propria del periodo.

Michele Cascella

“A Pescara in quei tempi D’Annunzio era nell’aria come il calore e il colore delle stagioni; viveva nelle pietre del campanile di San Cetteo, sotto l’arco di Porta Nova, davanti all’arsenale, fra i cannoni in disarmo e le nenie dei pescatori…C’ erano le vele presso la foce, Ie paranze, le primavere sul colle S.Silvestro, i trabocchi. La Città era piccola, antica, borbonica, con le sue vecchie mura, con le sue tre Chiese: S.Cetteo, il Rosario, il S.Giacomo. Tutte e tre in fila su una delle strade principali. il panificio militare, la finanza, i ritrovi preferiti dai militari con l’immancabile famosa “bionda”, i viaggiatori di commercio dell’Albergo Rebecchino, le ferrovie con i treni della notte sul ponte metallico, e poi gli odori e i rumori, il sapore dell’acqua torbida che mi dissetava l’estate, col maniero direttamente dalla conca, che una donna portava ogni mattina, e l’odore del catrame per la concia delle barche, le reti, le voci del mercato del lunedì.”

dalle memorie di Michele Cascella

Per la particolare attenzione posta alle facciate degli edifici  e alla distribuzione degli spazi, cominciarono ad emergere, nelle nuove forme urbane, i sensi dell’ eleganza e dell’ armonia.

L’impiego di elementi decorativi floreali di ispirazione liberty, uniti ad una serie di richiami di derivazione classica e a motivi di  complemento, come il bugnato e la fascia marcapiano, contribuirono a creare piacevoli motivi e a fornire innovazione all’ambiente.

L’aspetto urbano diventò man mano sempre più accattivante, spinto a qualificarsi culturalmente

anche attraverso iniziative di personaggi prestigiosi.

La costruzione firmata da Francesco Paolo Michetti, ora conosciuta  come palazzina Barattucci, all’angolo fra le vie Bastioni e G.D’Annunzio ne fu prestigioso esempio.

La città a quei tempi, narrava Flaiano, era poesia.

Alcuni aspetti strettamente legati al Vate si ritrovano invece nella nuova Chiesa di S.Cetteo, progettata dal Bazzani in base a idee e suggerimenti dello stesso D’Annunzio.

La tomba della madre, disegnata dall’architetto Minerbi, rappresenta  il lato più dannunziano esistente in città.

Amara,in merito, la nota di Flaiano:

“Per prima cosa, secondo lo stile italiano fu buttata giù la Porta Nuova, una singolare costruzione esagonale del tardo Rinascimento.

Anche la Chiesa, con un modesto ma autentico portale cinquecentesco fu buttata giù.

La chiesa d’oggi è quella falsa e retorica architettura del ventennio fascista che dette tanti uffici postali e case del fascio alla patria”

Nello spazio tipico d’influenza dannunziana possiamo  certamente inserire, poi, il teatro e la stele, realizzati in un punto strategico della pineta nella seconda metà del Novecento.

“La pineta mia dov’ho passati I momenti più belli

Rivedo certe vele del mio Adriatico alla foce della mia Pescara, senza vento, senza gonfiezza

gioiosa, d’un colore e d’un valore ineffabili, ove il nero e l’arancione il giallo di zafferano il rosso

di robbia entravano in una estasi miracolosa, prima di estinguersi”

E’ la testimonianza visiva della gratidudine della città verso un  personaggio di ineguagliabile profilo culturale, di elevato prestigio internazionale e dalla conclamata aureola di poeta-soldato.

Nel 1963 , anno celebrativo del primo centenario della nascita del Poeta, si dette avvio alla realizzazione del teatro monumento, che in poco più di due mesi fu consegnato alla città (15 luglio 1963) dal costruttore-artista Vicentino Michetti; la stele istoriata fu realizzata subito dopo, tra il 18 agosto e il 4 ottobre.

Il progetto, sospinto in ogni suo atto dalla tenacia del Dr. Edoardo Tiboni, avrebbe dovuto avere la connotazione di onorare D’Annunzio attraverso la sistematica rappresentazione della sua arte teatrale. L’intenzione è rimasta latente, anche se  le profezie, spesso, tardano ad avverarsi.

Oggi D’Annunzio avrebbe comunque straordinariamente ritrovato nella “sua Pescara”, dopo quasi un secolo, un’ulteriore orma generata da uno dei semi della sua stagione.

Il Ponte del Mare, unione fisica tra le sponde del fiume, traduce di fatto, in forma di trasposizione moderna, la visione profetica del Vate, proliferando occasioni di simbiosi fra le genti.

L’ambiente in cui la passerella strallata è collocata diventa poi fattore concreto di integrazione con le genti del mare. 

“Voi non avete bisogno se non di amore concorde per ascendere alla grandezza che vi è destinata”

“Carissimi fratelli,

nell’acqua della Pescara e nella vecchia pila di San Cetteo, nella pila dove fui battezzato,

oggi non sono abbastanza forte per discendere in mezzo a voi.

Doveva essere questa una prova pel mio cuore.

Ma credo che il mio cuore cada.

Cercatelo. Lo ritroverete. Fatene mille e mille parti; e spargetelo in tutta la Terra d’Abruzzi.

E’ semenza d’amore.

Voi non avete bisogno se non di amore concorde per ascendere alla grandezza che vi è destinata”      Gabriele

S.Giovanni 1928

Un ponte dalla forma ardita di concezione dannunziana, uno dei semi del cuore del Vate declamati nella  missiva  alla città del 1928 a ricordo della riunificazione.
“Suis Viribus Pollens”, un ponte possente di propria forza, direbbe il Vate

Aggiungiamo noi che nell’immaginario della sua comunicante architettura si possono cercare e trovare le simbologie percorse nella sua esistenza terrena:

“intriganti forme di trasvolo evasivo , ricercatezze estetiche, figure eleganti e forme ardite,  sonorità del mare e del vento  fra le corde degli stralli , proiezioni tendenziali.

E poi ancora:

creatività, fantasia, visioni,  ricordi , musicalità e tendenze.

E  ancora il  nulla, per chi nulla  riesce a intravedere.

E per chi ama d’Annunzio:

  • Più alto e più oltre
  • Non dolet – Aria dixit
  • Et ventis adversis
  • Senza cozzar dirocco
  • Immotus nec iners
  • Indeficienter
  • Non ducor, duco
  • Per non dormire

Biografia

“Voglio ancora svelare me a me stesso, voglio dire come l’impronta della mia città natale sia stampata in me, nel meglio di me, fieramente, ricordare ricordare, voglio; e gettare la mia miseria nel gioco mortale”. G.d’Annunzio

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 e muore a Gardone Riviera il 1° marzo 1938.

Poeta, romanziere, drammaturgo, novelliere, giornalista, eroe di guerra, diventa uno degli scrittori più prolifici e controversi tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Nei suoi romanzi, nei suoi drammi e particolarmente nella sua poesia, egli dimostra grande virtuosismo verbale e passione per la vita, intesa nel più lato senso della parola.

La passione, la violenza, la superstizione, e l’amoralità della sua vita e delle sue opere sconvolgono molti critici del tempo.

Figlio di benestante, a sedici anni pubblica Primo Vere (1879), a diciannove Canto Novo.

Il suo primo testo in prosa “Terra Vergine” coincide con l’epoca del suo ingresso nel Cenacolo Michettiano.

Nel 1883 sposa Maria Harduin di Gallese, da cui avrà tre figli, Mario, Gabriellino e Veniero.

Sempre più indebitato per la vita dispendiosa che conduce, vive tempestose relazioni amorose extraconiugali. E’ il periodo in cui elabora romanzi di buon successo come Il Piacere, L’innocente ed il Trionfo della morte e, fra ristrettezze economiche,  diventa nuovamente  padre di altri due figli, Renata e Gabriele, in un rapporto di convivenza con Maria Gravina Cruyllas.

A Venezia nel 1895 inizia il rapporto amoroso con Eleonora Duse.

Romanzi e dramma teatrali si susseguono nella stesura; Le Novelle della Pescara e La Figlia di Iorio, di ambientazione abruzzese, segnano l’apice di una felice stagione letteraria.

La successiva ripresa di una  intensa vita mondana con nuovi turbolenti passioni frenano le espressioni creative.

Scrive comunque La vita di Cola di Rienzo, La fiaccola sotto il moggio, Forse che si-forse che no.

Pressato dai creditori si trasferisce in Francia.Appartiene al periodo del forzato esilio ”Il Martirio di San Sebastiano” , redatto in lingua con l’uso di antiche forme dell’idioma transalpino.

Nella prima guerra mondiale ha un ruolo attivo, partecipa a numerose e clamorose azioni belliche, soprattutto aviatorie.

Insoddisfatto per le mancate concessioni territoriali all’Italia, malgrado la vittoria, si lancia nell’impresa fiumana.

Il tentativo di convincere gli italiani a difendere la storica e naturale volontà di annessione di alcuni territori al di là dell’Adriatico fallisce.

Costretto a lasciare Fiume,  D’Annunzio si rifugia  a Gardone, in una sorta di volontaria prigionia nella villa battezzata “Il Vittoriale”. Muore il 1 Marzo 1938.

Considerata nel suo complesso, l’opera di D’Annunzio colpisce per la grande mole quantitativa, rivelatrice di un’assiduità di lavoro e di una rapidità creativa ugualmente staordinari. Colpisce anche l’ampiezza espressiva dello scrittore per la disinvoltura e la versatilità con cui riesce a passare dal giornalismo alla narrativa, dal teatro alla lirica, dalla prosa all’oratoria politica.

D’Annunzio mostra anche un’eccezionale capacità di individuare le tendenze e carpire le correnti più originali ed interessanti, assimilandole nel proprio lavoro e traducendole in elementi di innovazione per l’intero movimento letterario europeo.